La casa...
Cerchiamo di spiegare in sintesi e seguendo alcune indicazioni tratte da un saggio di Descargues -Wery, di cosa si parla quando si immagina il lavoro degli operatori in casa famiglia e la tipologia dei ragazzi che noi ospitiamo.
La casa famiglia innanzitutto è un’istituzione. Risponde a certe regole e ne ha di sue proprie, un proprio regolamento istituito per il suo fine. Vista da un adolescente, pensando al rapporto che questo ha con la regola, i regolamenti, le istituzioni appunto, la casa famiglia fa parte del mondo dei grandi, degli adulti.
Ma come ogni istituzione è appunto una cornice di vita. E’ un ambiente appositamente creato per adolescenti che soffrono. Lo scopo della casa famiglia è quello di aiutare i ragazzi a cercare altri tipi di risposte alle loro difficoltà.
Queste difficoltà provengono sia da una realtà diventata intollerabile, quanto dalla criticità stessa propria dell’adolescenza. Sono situazioni che si configurano spesso come veri e propri breck down o scompensi psicotici, quando non finiscono invece per strabordare nel contesto sociale divenendo devianza.
Anche l’istituzione comunque, pensiamo alla scuola, può diventare luogo di esclusione, andando a innestarsi su quel vissuto di estraneità che provano i ragazzi. Il problema è che questa estraneità, l’altro perturbante, può sfilacciarsi, assottigliarsi fino a divenire rottura ed essere intollerabile. L’adolescente si trova a doversi difendere da questo vissuto di lacerazione che gli impedisce di essere pienamente un soggetto. Le difese più frequenti sono chiaramente il diniego della realtà piuttosto che il passaggio all’atto.
E non c’è da stupirsi, perché attraverso queste soluzioni gli adolescenti mantengono vivo il loro stesso sentimento di esistenza.
Dunque un’istituzione dovrà:
1. Rendere tollerabile una realtà (fornire una cornice)
2. qqProporre degli obiettivi con i quali gli adolescenti si confronteranno.
3. Offrire l’occasione di vivere delle esperienze attraverso le quali sperimentare le loro nuove capacità.
Tutto ciò per farli riappropriare di quella parte di sé vissuta come estranea.
Trasformare il pulsionale in un elemento utilizzabile dalla psiche.
Offrire dunque delle mediazioni - come deviazioni possibili - che contengano l’emozione e che la trasformino in un elemento utilizzabile. (il pensiero).
Continua la Descargues-Wery ricordando che tutto ciò, il senso della realtà, si costituisce in un primo momento tramite le cure materne. Attraverso questi scambi si differenziano il dentro e il fuori e inizia il processo di individuazione.
Il punto dunque è che in adolescenza il processo viene rimesso in gioco e l’identità vacilla.
Il passaggio obbligato che fa ogni ragazzo è quello di rivolgersi ad un fuori per cercare ciò che dentro gli manca, mentre ravvisa nel cambiamento un elemento perturbante. In casa famiglia si gioca questo dentro fuori e tutto ciò che l’adolescente vive come fuori di sé nella cornice della struttura, partecipa alla costituzione di se stesso come soggetto.
In ballo è, come ben si capisce, non la crescita intesa in senso lato, bensì il soggetto stesso, il processo di soggettivazione.
Pensando in termini di soggetto e di sue rappresentazioni - ripensando a schopenhauer dunque - la realtà esterna non va concepita ad una sola dimensione, E’ anche tutto ciò che non trova spazio nel pensiero che pensa la realtà, l’intollerabile, il fondo oscuro, ma che in quanto tale diviene resto ed entra comunque nel gioco dialettico io-non io.
L’istituzione è un non io che deve costituirsi come metafora, e quanto più possibile nel suo funzionamento vicino e simile a ciò che manca alla psiche degli adolescenti.
La funzione contenitiva è assunta dall’equipe he “opera affinché i contenuti distruttivi dei nostri pazienti vengano trasformati, attraverso varie attività che accolgano i loro sintomi e attraverso aperture diverse alla ripetizione”.
“la psicosi è la malattia del fallimento dell’ambiente” Winnicott.
Non si tratta dunque, come fa notare l’autrice, di sostituirsi ai genitori in una sorta di progetto riparatorio, cosa che creerebbe atteggiamenti di dipendenza contrari alle possibilità evolutive.
Si tratta di aiutare gli adolescenti ad affrontare la realtà, il qui e ora.
Gli psicotici attaccano i legami e proiettano nell’ambiente tutta la loro angoscia. Gli operatori individuando le scissioni restituiscono ai ragazzi i loro agiti in un altro modo, tramite le parole e i pensieri. In poche parole a volte si ha l’impressione di lavorare come se si aiutasse i ragazzi a famigliarizzare con la realtà.
Cominciando dal fatto che questa ha più dimensioni e può essere vista da più sfaccettature, liberando un pensiero incatenato, costretto.
Dunque, come prosegue l’autrice, si tratta di aiutare i ragazzi non tramite l’interpretazione quanto piuttosto tramite il dialogo.
Gran parte del lavoro in casa famiglia con gli adolescenti si fa aiutandoli a mettere in scena contenuti non rappresentabili per loro che tramite un atto.
Più di consegnarsi ad una serie di agiti bisogna dare atto e prendere atto, in un lavoro d’assunzione di responsabilità e memoria.
Il lavoro dei responsabili consiste nel rielaborare gli eventi tramite una serie di significazioni possibili, che aprono uno spazio di pensiero riaccessibile, prendendo al tempo stesso le distanze dall’evento.
In questo gioco la capacità di accogliere gli affetti ostili rassicura il ragazzo e gli permette di costituirsi uno spazio separato.
Gli operatori hanno un effetto narcisistico importante.
Accompagnando il ragazzo nella quotidianeità sono testimoni e fattori importanti nel processo di individuazione.
Gli operatori sono anche presenti nelle riunioni con i genitori, che se si presentano cariche di aggressività, la capacità dell’operatore di raccogliere anche il sentimento ostile rassicura il ragazzo.
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