lunedì 28 aprile 2008

diario

oggi. 28 IV

Sto guardando S. che taglia l'erba. Dio sa cosa gli si agita dentro. lui mettendo in ordine il giardino decide sulla casa... su qual'è alla fine la casa. Quella in cui puoi stare sicuro, in cui le cose, quando accadono, non fanno paura, ché c'è una mente che le pensa, che può mettere un argine a tutte le emozioni.
S. passa con la sua macchina tagliaerba e lascia mucchietti regolari sul terreno ordinato. Se c'è un dosso spinge con le braccia e serio cerca di trovare il modo per far scavallare quell'attrezzo tagliaerba.
Qui il sole riscalda appena, obliquo, sembra portar pace. C. sul dondolo e D. nell'ufficio a studiare... come fanno i grandi. M.... dov'è M...
M. è andato a comprare la cipolla...
Stasera pasta e patate per tutti!
Ed io... avrei voglia di farmi una passeggiata... di fumare una sigaretta... ma non riesco a staccare gli occhi dallo spettacolo di questa fine giornata. Mi manca una persona qui accanto, e non vedo l'ora di vederla. Ma questi ragazzi... dio come sono coraggiosi!

domenica 27 aprile 2008

La casa famiglia Epoché nasce nel 2003 come primo progetto di casa famiglia dell'allora associazione Epoché.
Nella fase di progettazione molto importanti sono la collaborazione con il comune di Oriolo e la provincia di Viterbo.
Per la vicinanza con Roma chiaramente negli anni la struttura è stata destinata soprattutto ai ragazzi della capitale, senza disdegnare però alcune collaborazioni con i comuni limitrofi.

L'equipe ha collaborato soprattutto con la giustizia minorile, formandosi con quei ragazzi di strada che commettendo reati attraversano il percorso delle misure alternative alla detenzione.

In questo senso la posizione della struttura, lontana dalle dinamiche della città, e un gruppo di lavoro molto preparato ci hanno permesso di specializzarci sempre di più con quei ragazzi che incontrano il penale come richiesta proveniente da un profondo malessere, spesso espresso anche come disturbo di personalità.

La struttura è organizzata con un modello famigliare, o meglio pensando i ruoli famigliari come funzioni e il campo relazionale come compo proprio di lavoro in cui sono posti operatori e ragazzi.

Non crediamo al modello affidatario che metterebbe la struttura in competizione con la famiglia di origine, e lì dove possibile cerchiamo di lavorare anche con il gruppo di origine del ragazzo.

Per contattare la struttura.
tel/fax 06 99838762
curriculumepochè.doc

venerdì 25 aprile 2008

riunioni di equipe

L’equipe... le riunioni.

 

Riunioni d’epuipe.

Si raccolgono gli elementi sparsi durante tutta la settimana, dei ragazzi e degli operatori, di tutto ciò che è passato dentro, attraverso e nell’immediata vicinanza della cornice.

Si mette a confronto, dunque è il luogo principale dove nascono nuovi legami.

Meglio ancora nelle riunioni d’equipe nasce per la comunità la capacità stessa di legare.

Qualcuno ha detto che il reale ha un carattere sempre traumatico, il reale inteso come presente, come vissuto di ciò che accade nell’immediatezza del suo essere presente.

La riunione degli operatori invece permette, come momento di pensiero vissuto da tutta la casa, di distanziarsi dagli agiti, dalla loro immediatezza.

Questa capacità di distanza e di legame fa tutt’uno col pensiero, con lo spazio psichico necessario per creare un limite, io-non io.

Il gruppo degli operatori non interpreta, ma si fa contenitore dei pensieri dei ragazzi, lì dove gli agiti vengono collocati in uno scambio che è sempre portatore di significati. Questi pensieri contengono gli operatori e i ragazzi e divengono così fonte di trasformazione.

Tutto questo è positivo anche soltanto perché apre un universo positivo e dotato di senso, nel quale c’è uno spazio anche per il resto, per ciò che non era rappresentabile da un soggetto assoggettato alle ripetizioni e preso nella lacerazione.

Nelle riunioni settimanali si produce uno schermo verso la violenza caotica delle pulsioni.

Quando diciamo scambio significativo, ciò che viene ripreso e pensato in riunione, intendiamo innanzitutto e per lo più ciò che provocano i ragazzi negli operatori, tutto ciò che muta e ogni modo col quale i ragazzi si rapportano alla cornice.

La cornice è ciò che viene ristrutturato, verificato, ripensato e adattato durante la riunione.  La cornice infatti viene usata dai ragazzi difficili come strumento per dare significato.

Viene dunque vissuta come stabile, ma deve essere anche variabile se vuole accogliere il cambiamento. Però se lo è troppo e in modo caotico raggiunge una sorta di punto di sutura oltre il quale viene vissuta come perturbante e dissociante.

(sempre liberamente tratto da “La questione psicotica in adolescenza” Barannes.)

 

 

       

 

la casa famiglia

La casa...

 

Cerchiamo di spiegare in sintesi e seguendo alcune indicazioni tratte da un saggio di Descargues -Wery, di cosa si parla quando si immagina il lavoro degli operatori in casa famiglia e la tipologia dei ragazzi che noi ospitiamo.

La casa famiglia innanzitutto è un’istituzione. Risponde a certe regole e ne ha di sue proprie, un proprio regolamento istituito per il suo fine. Vista da un adolescente, pensando al rapporto che questo ha con la regola, i regolamenti, le istituzioni appunto, la casa famiglia fa parte del mondo dei grandi, degli adulti.

Ma come ogni istituzione è appunto una cornice di vita. E’ un ambiente appositamente creato per adolescenti che soffrono. Lo scopo della casa famiglia è quello di aiutare i ragazzi a cercare altri tipi di risposte alle loro difficoltà.

Queste difficoltà provengono  sia da una realtà diventata intollerabile, quanto dalla criticità stessa propria dell’adolescenza. Sono situazioni che si configurano spesso come veri e propri breck down o scompensi psicotici, quando non finiscono invece per strabordare nel contesto sociale divenendo devianza.

Anche l’istituzione comunque, pensiamo alla scuola, può diventare luogo di esclusione, andando a innestarsi su quel vissuto di estraneità che provano i ragazzi. Il problema è che questa estraneità, l’altro perturbante, può sfilacciarsi, assottigliarsi fino a divenire rottura ed essere intollerabile. L’adolescente si trova a doversi difendere da questo vissuto di lacerazione che gli impedisce di essere pienamente un soggetto. Le difese più frequenti sono chiaramente il diniego della realtà piuttosto che il passaggio all’atto.

E non c’è da stupirsi, perché attraverso queste soluzioni gli adolescenti mantengono vivo il loro stesso sentimento di esistenza.

Dunque un’istituzione dovrà:

 

1.  Rendere tollerabile una realtà (fornire una cornice)

2.  qqProporre degli obiettivi con i quali gli adolescenti si confronteranno.

3.  Offrire l’occasione di vivere delle esperienze attraverso le quali sperimentare le loro nuove capacità.

 

Tutto ciò per farli riappropriare di quella parte di sé vissuta come estranea.

Trasformare il pulsionale in un elemento utilizzabile dalla psiche.

Offrire dunque delle mediazioni - come deviazioni possibili - che contengano l’emozione e che la trasformino in un elemento utilizzabile. (il pensiero).

Continua la Descargues-Wery ricordando che tutto ciò, il senso della realtà, si costituisce in un primo momento tramite le cure materne. Attraverso questi scambi si differenziano il dentro e il fuori e inizia il processo di individuazione.

Il punto dunque è che in adolescenza il processo viene rimesso in gioco e l’identità vacilla.

Il passaggio obbligato che fa ogni ragazzo è quello di rivolgersi ad un fuori per cercare ciò che dentro gli manca, mentre ravvisa nel cambiamento un elemento perturbante. In casa famiglia si gioca questo dentro fuori e tutto ciò che l’adolescente vive come fuori di sé nella cornice della struttura, partecipa alla costituzione di se stesso come soggetto.

In ballo è, come ben si capisce, non la crescita intesa in senso lato, bensì il soggetto stesso, il processo di soggettivazione.

Pensando in termini di soggetto e di sue rappresentazioni - ripensando a schopenhauer dunque - la realtà esterna non va concepita ad una sola dimensione, E’ anche tutto ciò che non trova spazio nel pensiero che pensa la realtà, l’intollerabile, il fondo oscuro, ma che in quanto tale diviene resto ed entra comunque nel gioco dialettico io-non io.

L’istituzione è un non io che deve costituirsi come metafora, e quanto più possibile nel suo funzionamento vicino e simile a ciò che manca alla psiche degli adolescenti.

La funzione contenitiva è assunta dall’equipe he “opera affinché i contenuti distruttivi dei nostri pazienti vengano trasformati, attraverso varie attività che accolgano i loro sintomi e attraverso aperture diverse alla ripetizione”.

“la psicosi è la malattia del fallimento dell’ambiente” Winnicott.

Non si tratta dunque, come fa notare l’autrice, di sostituirsi ai genitori in una sorta di progetto riparatorio, cosa che creerebbe atteggiamenti di dipendenza contrari alle possibilità evolutive.

Si tratta di aiutare gli adolescenti ad affrontare la realtà, il qui e ora.

Gli psicotici attaccano i legami e proiettano nell’ambiente tutta la loro angoscia. Gli operatori individuando le scissioni restituiscono ai ragazzi i loro agiti in un altro modo, tramite le parole e i pensieri. In poche parole a volte si ha l’impressione di lavorare come se si aiutasse i ragazzi a famigliarizzare con la realtà.

Cominciando dal fatto che questa ha più dimensioni e può essere vista da più sfaccettature, liberando un pensiero incatenato, costretto.

Dunque, come prosegue l’autrice, si tratta di aiutare i ragazzi non tramite l’interpretazione quanto piuttosto tramite il dialogo.

Gran parte del lavoro in casa famiglia con gli adolescenti si fa aiutandoli a mettere in scena contenuti non rappresentabili per loro che tramite un atto.

Più di consegnarsi ad una serie di agiti bisogna dare atto e prendere atto, in un lavoro d’assunzione di responsabilità e memoria.

Il lavoro dei responsabili consiste nel rielaborare gli eventi tramite una serie di significazioni possibili, che aprono uno spazio di pensiero riaccessibile, prendendo al tempo stesso le distanze dall’evento.

In questo gioco la capacità di accogliere gli affetti ostili rassicura il ragazzo e gli permette di costituirsi uno spazio separato.

Gli operatori hanno un effetto narcisistico importante.

Accompagnando il ragazzo nella quotidianeità sono testimoni e fattori importanti nel processo di individuazione.

Gli operatori sono anche presenti nelle riunioni con i genitori, che se si presentano cariche di aggressività, la capacità dell’operatore di raccogliere anche il sentimento ostile rassicura il ragazzo.

casa famiglia per adolescenti difficili e condizioni limite





Aquila.
bozza per una lezione all’università


Iniziamo facendo una distinzione fra tre piani:

1.  quello delle strutture che lavorano con adolescenti.
2.  quello degli operatori che svolgono il trattamento.
3.  quello vero e proprio dell’adolescente che commette reato.

La tesi che mi propongo di dimostrare è come questi tre piani siano assolutamente collegati fra loro e si incontrano e si giustificano tutti nella struttura di personalità dell’adolescente.
Innanzitutto cerchiamo di aprire una parentesi su che cosa intendiamo quando parliamo di “trattamento” di questo tipo di adolescente.
Pensiamo al trattamento in termini politico-economici, come sostantivo derivato del verbo trattare. Trattare vuol dire un lento, minuzioso, tendenzialmente democratico, processo di mediazione. Si tratta fra delle parti per cercare un compromesso... a volte un trattato di pace. Il trattato di pace è anche una resa, un segno limite che stabilisce ì confini e finisce per riattivare la storia.

Invece, arrivando a descrivere questo tipo di adolescenti, iniziamo col dire che sono adolescenti che commettono reati.

Winnicott differenzia nella tendenza antisociale fra il reato e la distruttività.

Nel reato c’è sempre, secondo lui, una speranza, una richiesta di cure. Potremmo anche dire che quelle cure sono nello specifico cure materne, se pensiamo che ogni bambino ha il diritto di richiedere la mamma. E ne ha il diritto perché è stato lui stesso a creare la mamma, se pensiamo al periodo in cui questa ha risposto alle richieste del figlio in un  momento in cui per lui mondo interno e mondo esterno non erano ancora sufficientemente separati.
Ciò che lui ruba è ciò di cui ha bisogno, ma più del contenuto rubato è la speranza di cure ad essere al centro dell’attenzione.

Qui è importante dire che per questi adolescenti le cose non sono andate sempre male. Se c’è questa speranza c’è anche il ricordo di un qualcosa, di un certo ambiente di cure, che all’inizio è stato sperimentato in maniera tendenzialmente adeguata.
Quella madre sufficiente mente buona di cui parla Winnicott, per capirci.

Quest’ipotesi interpretativa può essere legata con l’interpretazione che fa Novelletto. Questo vede nel gesto dell’adolescente violento una Fantasia di Recupero Maturativo, nel senso che nel gesto antisociale violento, l’adolescente ha la fantasia (inconscia) che magicamente si possa superare l’impasse evolutiva in cui è venuto a cascare. Come se da un certo momento in poi qualcosa di negativo ha interrotto questo processo di cure e le cure materne sono magicamente cercate, nonché l’evoluzione magicamente rimessa in moto.

Per quanto riguarda la distruttività Winnicott fa l’ipotesi che venga richiesto ad un’autorità esterna di dominare, di controllare, qualcosa che l’adolescente non riesce a tenere sotto controllo.
Questo punto è un pò più complesso.
Teniamo a mente due cose:
1.  Innanzitutto c’è da dire che più un aspetto di ricerca di cure, dunque di piacere, un piano libidico, e l’aggressività sono fuse, vanno insieme, più il problema è profondo, perché implica una difesa primaria. Cioè si va a cadere su una problematica che ha origine quando il bimbo era veramente piccolo. L’aggressività è una difesa primaria in questo senso.
2.  E’ inutile proporre una terapia individuale per questi adolescenti, perché ciò che questi chiedono è una risposta dall’ambiente. E noi dobbiamo iniziare proprio andando incontro a questa richiesta.


Adesso vedremo perché l’ambiente è tanto importante.

Cos’è che non riesce ad essere controllato? Perché qui è il punto.

C’è qualcosa vissuto come minaccioso e al tempo stesso terribile, vissuto nel proprio mondo interiore, che costa fatica riuscire a controllare... evidentemente è qualcosa che non può essere detto dal ragazzo, o rappresentato, qualcosa che viene solo percepito interiormente.
Quello che possiamo fare è negarlo radicalmente: allora l’adolescente muoverà i primi passi verso il diniego della realtà, preludio di ben più gravi psicopatologie. In una parola, ammattisce.
Contattarlo è impossibile, perché vorrebbe dire avere questa capacità di legare e verrebbe ad essere rappresentato qualcosa che ci porta dritti alla depressione.
l’unica cosa che può fare è una sorta di drammatizzazione del vissuto interiore per poi buttarlo fuori nella speranza che un’autorità esterna possa controllarlo.

Vedete, c’è ancora in qualche modo una richiesta, ma questa volta di un’autorità esterna di controllo. Come se il fuori sopperisse ad una carenza del dentro, o meglio della divisione dentro fuori, soggetto-oggetto.

Qui facciamo attenzione, chiamiamo questo qualcosa di minaccioso contenuto psichico. Per contenuto psichico si intende il contenuto di una mente...siamo dunque alle prese con una mente che soffre.
Questo contenuto è qualcosa di non legato. Per capirlo dobbiamo andare dal bambino piccolo e chiedergli cosa succede. Perché tanta distruttività in questo caso.

Prendiamo un bimbo intento in qualche suo gioco (da un esempio fatto dallo stesso Winnicott), mentre ad un certo punto i genitori iniziano a litigare violentemente.
il bimbo che non riesce a capire e prova paura, paura che i genitori lo abbandonino, che fanno così perché lui è stato cattivo, che in realtà questa aggressività è la sua e possa far male alla mamma, comunque quello che il bimbo fa è prendere su di sé questa situazione traumatica e per intero introiettarla.

Ora questo contenuto della sua mente non sarà pensabile, si dice che non è stato simbolizzato, non potrà essere rappresentato, ma non per questo scomparirà.
Il bimbo è abituato in questa fase a pensare che dentro di lui c’è tutto il bene e fuori tutto il  male. Dunque quando questo contenuto non sarà più controllabile verrà espulso fuori di sé.
Vediamo bambini e adolescenti alle prese con la fatica di gestire questo tipo di contenuti slegati, scissi, impiegare tanta loro energia da non averne altra a disposizione per ulteriori attività.
E qui segue quanto dicevamo prima.
Attenzione perché le seguenti cose sono fondamentali:

1.  Ogni contenuto dovrà essere legato, cioè: la mente-psiche, ovvero il pensiero, funziona facendo legami ( il Logos vuol dire, legare-pensare-raccontare e questo la dice lunga). Il legame fondamentale a cui è chiamato l’io come istanza psichica è quello di presiedere la distinzione fra il dentro e fuori.

2.   E qui il secondo punto ci riporta ancora all’ambiente, come ciò che ad un certo punto ha fallito, ha fatto soccombere quello spazio che naturalmente è concesso al soggetto.

3.  Inoltre, questo contenuto genera rabbia... è una rabbia che fonda le sue radici su un’angoscia d’abbandono... quello che i nostri ragazzi faranno in continuazione, per lo meno in un primo momento, in comunità.

Dunque: LEGAME/RAPPRESENTAZIONE
AMBIENTE (STABILE)
ABBANDONO (COME PROVA DEL LEGAME)


Tutto questo è un tentativo di descrizione, mi rendo conto un pò limitato, ma sufficiente, della psiche dell’adolescente. La comunità, come cornice, dovrà tenerne conto ed essere strutturata in un modo tale da poter percorrere queste linee giuda. Non sarà dunque un caso che le due cornici coincidano. L’una dovrà richiamare l’altra.


Ciò che dobbiamo aver chiaro è che qui non è in gioco un semplice conflitto fra istanze psichiche, ma qualcosa di ben più radicale.
C’è un’istanza, quella dell’io, che non è completamente in grado di padroneggiare il mondo interiore, proprio per questo fallimento dell’ambiente. e un contenuto di questa mente, vissuto come una minaccia da espellere con rabbia, rabbia che affonda e vuole al tempo stesso essere salvata dall’angoscia d’essere abbandonati.


Pulsioni...

Il punto da capire è che queste condizioni limite funzionano in un modo del tutto particolare.
Ciò che costantemente è cercato dall’umano è una condizione di piacere. C’è in principio un’energia che passa attraverso il corpo. Questa energia si fa pulsione e deve essere scaricata. Per essere diretta versa la realtà esterna ha bisogno di una rappresentazione. Questa energia ha come obiettivo il legarsi.
e deve avere questo obiettivo perché ne va della possibilità che questa pulsione, questa energia libera, sia riportata all’esterno e se ne faccia qualcosa, sia scaricata anche più semplicemente.
Ora il punto è che questa mancanza di rappresentazione, come un’angoscia solo avvertita e inespressa è una condizione terribile, in cui si manca la possibilità di esistere come essere umano.
Segna una condizione limite.